Molto spesso le donne, e in misura minore anche gli uomini, si trovano di fronte alla spinosa questione del voler razionalmente lasciare la persona con cui stanno insieme, perché sanno, nel profondo, che non è quella giusta per loro, che la loro storia non porterà a nulla di positivo poiché non esistono i presupposti per continuare o sperare che le divergenze, le litigate, i dissapori, possano svanire e migliorare con il tempo. Semplicemente se una possibile intesa c’è stata, o un innamoramento di qualche tipo è un tempo avvenuto, riguarda un passato ormai lontano e quasi dimenticato.
Si era scelta quella persona per dei motivi ben determinati, che ora però non ricordiamo più, svaniscono i ricordi più rosei e felici, per lasciare spazio a discussioni, tensioni, rabbia, intolleranza l’uno nei confronti dell’altra, ponendo le basi per la questione, conosciuta da entrambi ma mai confessata apertamente, del “cosa facciamo ancora insieme?”.
Si spera, sempre un po’, che le cose possano cambiare e lui/lei capirà i suoi errori e tutto ritornerà ad apparire un momento magico, di riunione di intenti, e amore vero. Ma consapevolmente, ragionando con queste persone, riferiscono una piena consapevolezza della reale situazione, dei difetti dell’altro, e dell’impossibilità di cucire strappi profondi,
di una relazione ormai consumata da tempo.
La paura di restare soli, o che l’altro prenda per primo questa decisione compiendo questa scelta sofferta (lo è per entrambi) significa sancire e autorizzare l’abbandono, da sempre temuto, poiché queste persone presagiscono un mondo vuoto, fatto solo di solitudine, tristezza e senso di fallimento.
Un sentimento spesso diffuso e alla base di tali freni a prendersi “cura di sé” o tutelarsi dalle storie nocive e distruttive, è proprio il fallimento, la sensazione di non aver saputo salvare un matrimonio, un lungo fidanzamento, o una storia a volte anche breve, e il doversi raccontare e sentirsi come dei “falliti”, con un divorzio sulle spalle ad esempio, da giustificare con il mondo intero, sentito ostile e giudicante ma soprattutto, fatto esclusivamente di persone realizzate e felici.
Una salute interiore più ampia passa anche dall’accettare che si hanno dei limiti, che una persona con cui siamo cresciute, ora non è più così simile a noi, che gli incastri con cui prima si era in equilibrio, pur se precario, non calzano più, perché si cresce, e si cambia spesso in maniere asimmetriche e sbilanciate, e si deve affrontare la paura di stare da soli con la consapevolezza che realmente soli non si è mai, che di volta in volta si può provare a costruire una relazione con l’altro con una rinnovata coscienza dei propri limiti, di ciò che si desidera veramente, di come impostare un rapporto senza compiere i soliti errori relazionali. Ciò che si può apprendere di volta in volta è il “come siamo” la conoscenza di noi, che è il primo passo per il confronto sano con l’altro-da-noi.
Senza una salute interiore profonda, unita alla voglia di conoscere davvero l’altro, pur con i suoi limiti e difetti, senza il timore di uscirne ferite o abbandonate, non si va lontano, si resta nella ripetizione costante dei propri schemi di comportamento disfunzionale, con la convinzione che siano sempre gli altri a sbagliare e che “la sfortuna” ci metta di fronte solo le persone malvagie o non adatte a noi. La salute per me passa anche dal mettersi per primi in discussione, compiendo ad esempio un percorso consulenziale o di psicoterapia con qualcuno che ci porti a vedere “fuori da noi” e ci fornisca nuove chiavi di letture della nostra stessa realtà, restituendocela più sana e arricchita di sfumature che prima non si era in grado di cogliere.
Dottoressa Federica Giromella
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