Stalking e femminicidio: affrontarli per combatterli in modo efficace

Recentemente ho tenuto una conferenza presso un’Associazione culturale del mio territorio, l’argomento mi sembrava piuttosto attuale e di rilievo e non potevo non proporlo. Ho iniziato ad interessarmi al fenomeno dello stalking e del femminicidio da un paio di anni, prima leggendo articoli di cronaca, poi libri e testi che spaziavano dall’antropologia alla sociologia.

Il filo conduttore che mi risuona nella testa è l’importanza della prevenzione. Quando una donna ha subìto violenza o è già stata uccisa, è troppo tardi. E’ tardi per fare teorie e supposizioni, è tardi per rimendiare, è tardi per cambiare quell’uomo violento che certamente il carcere non migliorerà.

Quell’uomo violento è stato un bambino, un ragazzo che forse ha subito dei lutti e non li ha saputi elaborare, è stato forse lasciato solo in questo difficile compito, o forse non ha saputo sviluppare quella che io definisco “l’arte dell’autocontenimento“, del sopportare le frustrazioni dei “no” ricevuti imparando a farsene una ragione, trovando soluzioni creative ed alternative ai suoi malesseri e ai suoi capricci.

Da piccoli occorre sentirsi dire dei no decisi e fermi, l’ho ribadito più volte, dalle figure che ci amano e che sono per noi dei modelli fondamentali di riferimento, dai quali traiamo esempi di vita e di personalità. Se questi esempi sono carenti e non riescono a gestire l’aggressività e i capricci del loro bambino, questi imparerà che la vita è protezione e garanzia di felicità continue, senza interruzioni al piacere, in un fluire continuo di soddisfazioni immediate dei propri bisogni. Non esiste la possibilità di sviluppare minimamente la “tolleranza alla frustrazione” e la capacità, fondamentale, di accettare rifiuti, sconfitte o abbandoni.

Quei bambini, una volta grandi, fonderanno tutto il loro investimento emotivo su una ragazza, rischiando di diventare morbosi e dotati di una gelosia assillante e delirante si faranno quindi lascifemmincidioare, ma lì scatterà, in ragazzi insospettabili e normalissimi, la scheggia di follia. Non riusciranno a concepire che la loro fidanzata possa stare senza di loro o addirittura con un altro, che possa abbandonarli, si potranno trasformare in stalker, perseguitandola, fino ad arrivare a gesti estremi.

I ragazzi oggi, lo vedo nei corsi di educazione sessuale ad esempio, sono totalmente privi (nella gran parte dei casi) di una educazione ai sentimenti, della basilare empatia e del rispetto verso i desideri dell’altro, che molte volte disconoscono.

 

Possono istruirsi sul sesso e sul funzionamento del corpo a volontà con l’ausilio di internet, sempre pronto e a disposizione immediata, ovvio (non sia mai dover aspettare di avere un collegamento in wifi o di avere almeno 10 anni), ma l’educazione affettiva? Sentimentale?

L’accudimento emotivo spesso è in gran parte ancora nelle mani delle mamme, oggi, e quali tratti presentano queste mamme tuttofare che non rinunciano più a nulla sacrificando forse, in alcuni casi, l’educazione al rispetto dei loro figli maschi? O l’educazione alla conoscenza dei sentimenti delle amiche e degli ammammafiglioici o a una cultura del diverso? Perché questi ragazzini arrivano a compiere gesti che hanno picchi di brutalità impensabili e raccapriccianti? Siamo sicuri che serva sempre accontentarli in tutto per non farli soffrire? Questa è la preparazione al mondo che gli vogliamo fornire? Spianare sempre loro la strada evitandogli di faticare li renderà solo più fragili, meno “attrezzati” a fronteggiare le difficoltà – inevitabili – che incontreranno.

 

Io li ho visti, ci parlo e li incontro quotidianamente, il rispetto e lo scarto tra una generazione all’altra sono sempre più assottigliati, le figure di riferimento importantissime quali maestre e professori, sono spesso svilite, depotenziate, accusate di eccessiva severità, e al contempo, in maniera schizofrenica, delegati a seguire una fetta importantissima della crescita dei propri figli, gli si attribuiscono responsabilità pesanti (o forse solo la gestione del loro tempo per alleviare quello dei genitori?) senza poi lasciare altrettanta autonomia d’azione.

Saranno, mi chiedo, anche questi i comportamenti che portano i figli a non avere rispetto di nulla e pretendere di ottenere ciò che desiderano senza fare i conti con i desideri altrui?

Io credo che questa sia solo una piccola parte del problema ma comunque una parte fondamentale. Lo credo fortemente perché la stessa aggressività la vedo crescere anche nel sesso femminile.

Se proviamo ad evitare di trasmettere ancora stereotipi sulle presunte differenze di genere inculcando ancora vecchi valori duri a morire, sia nei maschietti che nelle bambine, che rimandano a vecchie suddivisioni di ruoli rigide e non più attuali, non rispondenti alle loro reali inclinazioni e attitudini, al di là della suddivisione per genere, cresceremo giovani ragazzi e ragazze attenti all’altro che hanno di fronte, ai suoi veri desideri. Giovani  che porteranno l’attenzione sui propri bisogni e su quelli di chi hanno di fronte, al di là delle classificazioni che li vogliono “perbene, educate, a modo, silenziose, accudenti, dolci, carine, tolleranti e pazienti” per le bambine e “forti, grintosi, irruenti, vivaci, dongiovanni e senza mai l’ombra di una lacrima perché “sennò è da “feminucce” per i bambini… Liberi quindi di giocare mescolandosi tra loro, scegliendo le bambole o i camion rispettando gusti e inclinazioni e non forzando loro la mano…Solo cosìartistic-2063__340 forse si potranno gettare le basi per un’educazione paritaria, non perché, sia chiaro, maschi e femmine siano uguali, tutt’altro, abbiamo cervelli costituzionalmente differenti, ma perché non esistano limitazioni precostituite e imposte culturalmente che purtroppo ancora portiamo dentro come eredità culturale. Da cui è difficilissimo sfuggire, poiché radicata nel nostro inconscio da generazioni.

 

Occorre dunque una prima presa di coscienza nell’identificare quali tratti di quella cultura patriarcale ancora sentiamo addosso per riconoscere ciò che è ancora utile da ciò che è stantio e non più attuale, perché tante situazioni in cui ritroviamo uomini violenti che denigrano e umiliano una donna (e non solo picchiandola) si incastrano ancora con donne che tollerano, perdonano, accettano in silenzio e attendono che il marito cambi, sperando che prima o poi migliorerà o che lo salveranno, perché abbandonare è immorale, o è difficile perché poi si resta sole, o forse perché (molto più grave) sentono di meritarlo e che non possono ambire a nulla di meglio. La “sindrome della crocerossina” è un concetto da cui molte donne rifuggono ma che, essendo tramandato da generazioni ancora risuona familiare e pronto all’uso.

Anche queste donne, la cui stima di sé è così bassa, sono forse cresciute osservando madri succubi e deboli, che non lasciavano i loro mariti traditori, fedifraghi e assenti? Se non violenti? Quale esempio hanno interiorizzato?

Queste le domande da farsi a priori, per iniziare a innescare una cultura basata sulla prevenzione di tali orribili e subdoli fenomeni.

In un successivo articolo tratterò delle questioni mitologiche e antropologiche del fenomeno dell’aggressività, tema anch’esso accennato nella conferenza e che richiede un suo spazio dedicato. Così come l’elenco dei vari possibili tipi di violenza, le conseguenze psicologiche sulle donne vittime di abusi e le possibilità che abbiamo per affrontarli e superarli.

Riflettiamo, per ora.

Dottoressa Federica Giromella