Non possiamo negarlo: anche se sappiamo razionalmente che il problema di cui parlerò è molto enfatizzato dai media, che esistono obiettivamente molte concause e molti interessi dietro quelle azioni che spesso non ci spieghiamo e che vanno molto al di là del nostro potere di intervento, non possiamo negare che sentire continuamente notizie di attentati, stragi, colpi di testa da parte di kamikaze più o meno addestrati, ha contribuito ad innalzare il nostro livello di attenzione e la nostra soglia di ansia e paura.
Non riusciamo più – per molti è così – a pensare ad una località di vacanza al caldo, a culture a noi vicine che si affacciano sullo stesso mare senza pensare che lì è ormai impensabile recarsi, è proibito e rischioso, si va solo in cerca di guai e di certo non si va in quei posti per trovare la serenità. O una vacanza, tantomeno. Così come non riusciamo più a pensare ai centri commerciali, ai posti affollati, alle metropolitane, ai mercatini, ai lungomare, ai concerti negli stadi…
La paura si sta insinuando ovunque, il pericolo potrebbe essere ovunque. Dietro ogni volto sconosciuto e di origine araba, dietro ogni barba e ogni dialetto a noi non familiare…Stiamo diventando dei mostri, sì, proprio noi. Noi che ci ritenevamo aperti e tolleranti, ci stiamo scoprendo sospettosi, timorosi, allertati e inibiti, in una parola: spaventati.
La paura del diverso è alla radice di tutto, così come la paura di essere il prossimo bersaglio casuale di persone poco lucide, ignoranti, fanatiche, capaci di compiere gesti estremi che la nostra ragione fatica a comprendere e accettare.
Ma è soprattutto il nostro stile di vita, sicuro, confortevole, che si automantiene in un clima di relativa pace (in Europa non ci sono più guerre da un bel po’ e tantomeno in Italia, per fortuna), che ci fa forse sentire come molto distanti certi modi di vivere e pensare, certe modalità di reazione estreme alla sofferenza, ai bombardamenti o alla povertà, o a chissà cosa. Sì, non comprendiamo come molti uomini possano vivere così, come possano uccidere senza pietà degli innocenti, semplicemente la nostra mente non lo accetta, va contro ogni nostra convinzione culturale, umana, di naturale convivenza e contro ogni logica, anche.
Perché se esiste della rabbia verso i nosti stili di vita, verso noi occidentali (che le armi le esportiamo, ricordo) verso noi che non veneriamo magari determinati dei o che ci siamo allontanati dalla religione, è pur vero che nessuno di noi dovrebbe vivere con questo costante timore che grava sulle nostre teste. Perché in fondo, quali torti avremmo mai commesso?
Potremmo essere tutti sicuramente più umili, meno arroganti, più coscienziosi verso il pianeta, accogliere di più chi è in difficoltà, ma a livello dei grandi equilibri di potere, noi come individui singoli abbiamo poco margine d’azione e intervento, poche possibilità di dire la nostra, se non con il nostro stile di vita e con il nostro voto. Punto. Per il resto entrano in gioco dinamiche più grandi di noi, che riguardano equilibri mondiali, in cui intere fette povere di popolazione sul pianeta sono malleabili e plasmabili, esistono posti in cui si fomenta l’odio e si crescono bambini a pane, armi, odio e jihad.
Ma quello che a me sta a cuore, da psicologa, è quanto tutto ciò influenzi le nostre vite. Quanto l’odio e la paura siano ammessi a far parte della nostra quotidianità, quanto spazio gli lasciamo, e quanto invece ci opponiamo con la giusta quota di razionalità affinché non diventino parte integrante del nostro inconscio collettivo, ma restino fenomeni isolati, che all’apparenza sembrano più frequenti, certo, ma pur sempre casi isolati.
Mi interessa quanto non ci lasciamo influenzare nelle nostre scelte, quanto anzi, scegliamo di opporci proprio per non fare il gioco di chi ci vuole isolare, frammentare, spaventare per farci chiudere in casa, non reagire, e farci, in fin dei conti, plasmare da qualcun altro.
Compiamo le giuste differenziazioni tra religione e estremismo, tra culto e fanatismo, tra clandestini con intenti criminali e profughi e richiedenti asilo, tra rischio concreto e paranoia infondata.
Non lasciamo ancora una volta che equilibri di potenze con interessi diversi dai nostri plasmino i nostri modi di vivere, già troppo spesso difficoltosi, e che influenzino i nostri modi di guardare all’altro, al diverso da noi, che modifichino il nostro stile di vita, le nostre scelte quotidiane su come gestire il nostro tempo libero, le vacanze, la scelta dei luoghi ricreativi da frequentare, in nome di un pericolo che potrebbe, a ben pensare, essere ovunque, dal momento che un filo conduttore apparentemente non c’è, se non nell’aggregazione di più persone contemporaneamente.
La conseguenza diretta sarebbe solo quella, se ci pensiamo, di non uscire più, restare paralizzati da quella paura che blocca, che inibisce come succede al coniglio che di notte attraversa la strada e viene illuminato dai fari di un tir. Ma noi abbiamo la facoltà di scegliere, di agire dopo aver compiuto dei ragionamenti, utilizzando il nostro intelletto per fini più elevati. Facciamolo.
O altrimenti saremo come quel coniglio, bloccati, paralizzati, così come alcuni, forse, ci vogliono.
Dottoressa Federica Giromella
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