Io vado da uno psicologo, e tu?

Siamo in Italia, siamo indietro su molte questioni, una fra tante, l’accesso libero e senza condizionamenti (mentali ma a volte anche economici) ad un professionista della salute mentale: lo psicologo.

La mia vuole essere una riflessione dettata non solo dall’aver constatato la resistenza culturale di molti a recarsi presso gli studi dei cosiddetti “strizzacervelli” per parlare delle loro questioni, dei loro turbamenti interiori o dei problemi che veramente li affliggono, a volte in modo pesante. La riflessione nasce dal fatto anche che chi sostiene di star bene, attraversa comunque periodicamente o saltuariamente momenti di confusione, sconforto, disorientamento esistenziale, pur se transitorio, e spesso tali momenti possono sfociare in vere e proprie crisi, attacchi di panico o stati di insonnia, depressioni momentanee…

Nonostante ciò, non pensano minimamente che possono trovare sollievo, se non un soluzione definitiva, anche in tempi brevi, recandosi da uno psicologo, che li possa aiutare a ritrovare lucidità, serenità, chiarezza nei propri obiettivi o desideri.

Il semplice mettersi nella condizione di aprirsi ad un altro, esporre con un filo logico ciò che l’altro deve poter comprendere e quindi il porsi nella condizione di “raccontare” se stessi, affidandosi all’altro con fiducia, già è di per sé una condizione che porta verso la salute, predispone al cambiamento in positivo e alla chiarezza verso se stessi. Comporta un investimento in salute che va a smuovere energie latenti, non utilizzate dalla persona, e che vengono messe in luce nel momento in cui si varca la famosa soglia della “stanza della cura”.

Ancora mi trovo a leggere quesiti sui vari blog e siti di psicologia, riguardanti la natura degli attacchi di panico, dei disturbi psicosomatici, delle crisi depressive, in cui le persone chiedono se questi potranno “sparire da soli” così come sono arrivati. Si cerca rimedio sfogandosi in palestra, curandosi con i fiori di Bach o l’omeopatia, il tutto spesso senza buoni risultati, procrastinando la vera cura.

Ora, ciò che mi è venuto di getto di rispondere su un blog una volta, è che se una persona ha un fungo sulla pelle, non esiterebbe un attimo a recarsi da un dermatologo per curarlo, per capire come gli è venuto e quindi come prevenire che possa capitargli di nuovo. Lo stesso per molte sintomatologie di tipo squisitamente fisico, ma perché non scatta automaticamente allora, lo stesso istinto di cura e protezione di sé, quando a star male è la mente? Quando ad ammalarsi sono le relazioni, quando le notti sono insonni e i pensieri ripetitivi e le rimuginazioni mentali ci impediscono di essere sereni? O quando si fanno sempre le stesse scelte patologiche in campo sentimentale, o si ricade sempre negli stessi errori o nelle stesse trappole?

Forse per me e alcuni altri (per fortuna sempre di più) il passaggio mentale è immediato, ma mi duole constatare quanto ancora non sia spontaneo rivolgersi al professionista più idoneo, che non è certamente il medico di base, ma lo psicologo. Comprendo maggiormente chi, non essendo del campo, si rivolge al neurologo, per associazione di idee forse…ma dal medico di base? Perché? Ci conosce bene se ci ha visto crescere, è vero, ma molti di loro sono, ahimé, ancora molto impreparati su come gestire richieste di aiuto e supporto psicologico. Potrebbero addirittura creare più danni che benefici, essendo spesso, anche troppo coinvolti, ad esempio.

La cultura la cambieremo solo se noi per primi, alle prime avvisaglie di malessere, non tenderemo a far cronicizzare e stagnare sintomi che comunque, nel caso degli attacchi di panico ad esempio, hanno un motivo di esistere e una ragione per la loro comparsa; o se sapremo consigliare prontamente ad un amico in difficoltà di rivolgersi ad un professionista, senza arrampicarci sugli specchi nel dare consigli di vita che, seppur dati col cuore, potrebbero solo ritardare il momento in cui si curerà veramente. Perché se una patologia non si cura è difficile che vada via spontaneamente. Ecco perché poi arrivano presso gli studi degli psicologi a volte, persone che hanno atteso e rimandato per anni magari, e portano nevrosi cronicizzate anche più difficili da trattare.

Un luogo comune molto diffuso è che andare da uno psicologo sia segno di sconfitta e debolezza; il vero coraggio sta nel farcela da soli, si declama. La verità sembrerebbe stare nell’esatto contrario: ci vuole molto coraggio e forza per aprirsi con un estraneo e raccontare di sé, mettersi in discussione, sapendo che molte nostre visioni stantie e desuete (a cui siamo affezionati perché ci accompagnano e ce le raccontiamo nello stesso modo da sempre) potrebbero essere riviste e corrette aggiungendo nuovi punti di vista, che arricchiranno sicuramente la nostra personalità, ma andranno a scalfire e destrutturare altre nostre solide convinzioni, e per far questo occorre molto più coraggio che non il piangersi addosso o il parlarne “solo” con gli amici.

Dottoressa Giromella


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