Anche le emozioni vanno educate!

Educarsi alle relazioni sembra oggi essere davvero necessario.

Ho sempre creduto che gli esseri umani fossero animali sociali, portati naturalmente verso l’altro, verso lo scambio, il contatto, la relazione. Ultimamente ho dovuto ricredermi: riflessioni profonde e destabilizzanti hanno creato scompiglio nelle mie certezze granitiche. Alcuni di noi sono totalmente diseducati al rapporto e allo scambio con l’altro. E’ questione forse di difese per alcuni, che giungono ad essere chiusi e più individualisti in età più avanzata, ma non è solo un fattore di delusioni e traumi. Ora anche molti giovanissimi, già in età scolare, mostrano segni di diffidenza, chiusura, pregiudizio, assenza di empatia verso l’altro.

Perché?

A seguito del corso che ho concluso da poco in una scuola media della provincia di Roma, e in seguito a osservazioni e studi compiuti anche in altri contesti scolastici (primarie) e non, devo ammettere che circola in modo subdolo tra ragazzi e ragazzi e bambini e bambine un sentimento di grettezza e di individualismo che sta sempre più prendendo piede.

Mi definirete probabilmente una pessimista, ma lo vedo quotidianamente. Nei ragazzi c’è bisogno di spiegare, a fondo con dovizia di particolari, con giochi di immedesimazione concreti, la differenza tra uno scherzo e un’offesa verso un compagno, c’è bisogno di chiarirlo più volte, inscenare role play e drammatizzazioni, ma resta sempre il dubbio che sia stato afferrato nel profondo. Resta il dubio che importi davvero qualcosa dell’altro a meno che non sia una persona con cui si ha un legame strettissimo.

L’empatia… questa sconosciuta! Parola ormai di moda e abusata quanto invece poco metabolizzata e messa in atto concretamente per molti. Questo insieme complesso di rispecchiamento nelle altrui emozioni che vanno a sovrapporsi alle nostre, ai nostri personalissimi bisogni, alle nostre necessità che sembrano sempre più impellenti e importanti andando a coprire e nascondere quelle dell’altro è un concetto che si sta affievolendo.

Siamo forse così egoisti ed individualisti perché bombardati costantemente di informazioni e immagini anche crude, dure, scene di guerra, di sofferenza, sempre più alla portata di tutti? Saranno la rete così carica di immagini di ogni tipo o i giochi virtuali, i film, che portano ad anestetizzare le emozioni, i video, a rendere il mondo intero sempre più piatto, alla ricerca costante di sensazioni ed emozioni forti o estreme? Molti giovani pare siano disinteressati al sesso… Ci chiediamo mai il perché? Potrebbe andare di pari passo con il bombardamento mediatico di nudità, scene di sesso, accessibilità al porno e – apparente – accessibilità ad avere rapporti? Non voglio poi chiedermi come sono questi rapporti, dove spesso il Sexting e le chat erotiche sostituiscono in toto il contatto fisico, il guardarsi negli occhi, lo stare abbracciati…

Nell’era del benessere, nel nostro mondo occidentale che vive in un clima di relativa pace da un tempo piuttosto lungo, siamo tutti così ciechi rispetto alla sofferenza e ai bisogni altrui, perché? Perché il nostro orticello viene sempre prima, e ove non è così siamo tacciati di buonismo?

Si è sempre più soli pur essendo sempre connessi, gli stimoli esterni sono sì a portata di mano, così come le esperienze concrete, ma viverle in differita e in maniera virtuale dal proprio salotto a volte sembra placare la curiosità, è sufficiente per averle sperimentate, collaudate e in qualche modo vissute.

C’è un’elevata selezione iniziale e c’è diffidenza, paura, ma anche semplicemente anestesia di emozioni. Piattezza. Vuoto e noia. Serve un grande sforzo di immaginazione e una combinazione di stimoli differenti per suscitare una minima reazione di curiosità ed interesse ormai, in particolare nelle nuove generazioni, abituati ad esperienze in 3D, immersive, alla realtà aumentata.

Lo riscontriamo nei bambini che, continuamente iperstimolati in mille attività e hobby diversi non sanno più cosa fare nei momenti morti, un gioco in cui devono mettere un loro contributo di fantasia e azione dopo un po’ li annoia, attendono l’effetto spettacolare e potente che arrivi da fuori. E se da bambini è più facile accontentarli, distrarli (magari mettendoli davanti ad un tablet), come saranno da adolescenti, quando saranno frustrati di fronte ad un momento di vuoto, di fronte ad un bisogno che non può essere soddisfatto nell’immediato, di fronte a dei no? Cosa faranno di fronte ad una scultura di un artista o un quadro monodimensionale che non suscita emozioni forti che li scuotano dal loro torpore?

Sono ragazzi che spesso non sanno come modulare i loro impulsi e le loro reazioni, che spesso si fanno anche violente e aggressive perché non hanno potuto sperimentare l’attesa, il desiderio, la frustrazione di rimandare una loro soddisfazione. Hanno appreso che possono avere tutto e subito e possibilmente senza faticare troppo.

Hanno standard da un lato molto elevati, di spiccata competizione nell’ottenimento del voto più alto, dall’altro bassissimi e contrastanti rispetto a ciò che potrebbero realizzare nella vita, i loro modelli passano dal diventare astrofisici o ingegneri nucleari (non sapendo a volte lo sforzo e l’impegno che questo comporterà, con prevedibili ansie da prestazione e rischi di forti delusioni) ai rapper e youtuber che propongono delle simil canzonette, le postano su un canale come YouTube, e di colpo diventano ricchi e famosi.

In un clima di ideali sballati, per colpa di assenza di modelli, certo, quindi colpa delle nostre generazioni, si stanno creando mondi dove regnano la

  • presunzione di sapere tutto, grazie alla rete, in cui la conoscenza è sempre accessibile e a portata di un click;
  • la superficialità, dove un’immagine di una compagna in reggiseno viene postata con leggerezza senza rendersi conto delle conseguenze;
  • la necessità di soddisfare immediatamente ogni desiderio senza alcun ostacolo, senza che un no da parte di un altro possa essere un problema.

I “no” infatti non ci sono quasi più, un po’ come le frecce messe in macchina alla guida. Ci sono comportamenti e norme di convivenza che si stanno estinguendo, che presuppongono la presenza dell’altro intorno a noi che viene considerato come un limite, un fastidioso ostacolo, perchè ci siamo noi e i nostri bisogni. Poco importa se c’è un altro, una regola, un divieto, o semplicemente un’attenzione cortese verso l’altro che in quel momento ha delle sue volontà o desideri.

Questo chiaramente è amplificato nei giovanissimi che ancora portano con sé dei residui dell’egocentrismo infantile, che ancora vorrebbero vedere accontentati tutti i loro bisogni. Potrà sembrare eccessivamente pessimistico come racconto ma è uno degli aspetti che saltano all’occhio, insieme ovviamente alla carica positiva e alla malleabilità dei ragazzi, fattori da tenere in assoluta considerazione se vogliamo ancora fare qualcosa per renderli persone migliori.

Il compito degli adulti, genitori, pedagogisti o insegnanti, è proprio quello di “sedurre” e affascinare proponendo modelli coerenti e concreti, felici, in cui i ragazzi possano ancora identificarsi, ma anche di limitare, contenere e frenare in modo autorevole quelle spinte egoistiche e individualiste che in particolar modo nella nostra società pare siano avallate e sostenute. La scuola, così come altre istituzioni è costantemente sotto attacco e siamo in una fase di piena critica e revisionismo di valori.

Tutto viene messo in discussione poiché la conoscenza, anche per noi “grandi”, è alla portata di click. Sarebbe auspicabile una certa attenzione all’uso maldestro che può esserne fatto e soprattutto dosare un pizzico di spirito critico rispetto alla volontà di ribaltare a tutti i costi tutto il sapere già dato considerandolo desueto e obsoleto ad ogni costo.

Alcune regole e valori possono ancora conservare del buono, riconosciamolo e facciamone buon uso.

Federica Giromella

 


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