Quali relazioni ci aspettano, osservando i cambiamenti che sono avvenuti e stanno tuttora avvenendo nella nostra epoca?
Perché siamo tutti generalmente più soli, più presi da noi stessi, chiusi e sulla difensiva?
Viviamo in un’epoca segnata da un profondo individualismo... che sfocia e confina strettamente con l’egoismo, sotto varie forme. Siamo portati a vivere tutto pensando ad un tornaconto, pensando ai nostri interessi da salvaguardare, da tutelare, da difendere.
Più che di aggressività o di azioni attive per ferire l’altro vedo soprattutto una difensività diffusa a oltranza, un non lasciare che l’altro entri nei propri spazi gelosamente custoditi, un’inedia e un generale disinteresse verso l’altro.
La parola giusta e più calzante allora è proprio difendere, siamo tutti sulla difensiva, anche nelle relazioni che dovrebbero darci più serenità, piacere e soddisfazione. Siamo predisposti geneticamente al contatto umano, ad entrare in relazione con gli altri, cosa ci frena quindi? Cosa ci fa realmente paura?
Prendiamo ad esempio il grande tema della violenza contro le donne, il femminicidio, l’aggressività che si compie sotto varie forme nei confronti di quello che da sempre è stato definito “il sesso debole”. La rabbia e l’aggressività sicuramente fanno parte del nostro corredo genetico, della nostra natura o istinto, e l’uomo da sempre cerca di correggerle, sublimarle, trasformarle in altro. La osserviamo spesso, trasversalmente, in situazioni regressive e “psicologicamente” povere, in cui l’uomo (o la donna) non evolve, non cresce, non trasforma l’aggressività di cui tutti siamo portatori in fondo, in altro, in qualcosa di più maturo, di più creativo e sano.
Ma siamo sicuri che il sesso femminile sia davvero così debole?
Le donne oggi vivono un nuovo momento di passaggio verso un’identità collettiva, un “noi” in cui si sentono sicure di appartenere, ma spesso questo “noi”, questo fronte comune agguerrito va contro e a discapito dell’uomo, che al contempo è entrato profondamente in crisi, è visto e sentito come il nemico spesso odiato, bistrattato, molto spesso accusato.
Molte conquiste in tema di diritti e libertà sono state compiute dalle donne, ma come le ha vissute il sesso maschile? Quanta rabbia ancora in noi donne è rimasta da diluire, sublimare, smaltire?
Il nemico comune oggi non è – o non dovrebbe essere – l’uomo, ma lo stereotipo negativo di uomo: macho, prepotente, virile, sostanzialmente l’uomo che possiede tutte le caratteristiche ritenute nel tempo negative del genere maschile: un’eccessiva sicurezza di sé, la tendenza a prevaricare l’altro sesso, a dominare, ad essere il “conquistatore” (alcune donne ne sentono forse la mancanza?) che sottomette la potenziale vittima/donna e la rende una sua conquista, oggetto di sua proprietà, alle sue dipendenze e così via. Tutte definizioni che già scatenano nelle donne se ben guardate, molta rabbia, molta irrequietezza e fastidio anche solo ad immaginare alcuni scenari ormai per alcuni desueti, demodé.
Tutte caratteristiche che in genere son un’esagerazione di quello che spesso avviene o si vive nella realtà.
Chi difende l’uomo oggi si mette in una posizione scomoda, dal momento che si mette dalla parte del presunto e potenziale aggressore, di colui che abusa, violenta (in varie forme e modi) che uccide, o anche solo tende a mantenere lo status quo, quindi dalla parte di chi invece dice che oggi andrebbe condannato, messo all’angolo, castrato metaforicamente e reso debole e inoffensivo.
Un uomo che poi, a ben guardare, nella nostra quotidianità, ritroviamo solo nelle situazioni di cronaca in cui si raggiungono determinati estremi, ma potremmo affermare con certezza che ogni uomo che conosciamo è un violento? Pensiamo ai nostri contatti, ai nostri vicini, amici, cugini, fratelli, colleghi… Su quanti scommettereste che sono dei violenti? Quanti li definiremmo prevaricatori e maschilisti?
Probabilmente pochi, o magari alcuni solo se sotto pressione…in determinate situazioni… spesso solo se messi alle strette, quelli “vecchio stampo”, portatori di un vecchio retaggio in cui possono sentirsi sicuri, in cui si possono definire, in cui si sentono di appartenere e in cui sono certi della loro identità. Quello che ho voluto indagare è proprio l’ambito in cui si scatena nell’uomo la rabbia, la delusione, il senso di impotenza e di sopraffazione che li porta poi ad agire e mettere in atto gesti violenti.
Come sono stati vissuti i cambiamenti epocali che osserviamo dagli uomini?
Non tutti possono aver reagito allo stesso modo, chi è più maturo, stabile, equilibrato e consapevole sente nel profondo che il percorso che si sta facendo deve andare in questa direzione, magari ha vicino una donna che già era sicura di sé, non frustrata, non repressa a sua volta, che ha trovato un equilibrio stabile col proprio partner e non sente la necessità di grandi cambiamenti nella propria vita o nei ruoli che ha, perché possiede forse la giusta libertà d’azione, e ha trovato un suo equilibrio personale e di coppia. Forse questi uomini sanno in cuor loro che molte ingiustizie sono state perpetrate ai danni delle donne, e percepiscono ancora un vago senso di colpa.
Ma chi tra gli uomini invece è insicuro? Chi non si è ridefinito una nuova identità, a quali nuovi modelli può aggrapparsi? E se questi uomini incontrano donne che improvvisamente sentono l’urgenza di dover scalpitare alla ricerca di nuove libertà, nuovi modelli di uomo perché non più soddisfatte, nuovi ruoli, nuove attività lavorative, nuove scoperte…e compiono dei passaggi in maniera grossolana?
Con grossolana intendo semplicemente il non aver cura dell’altro, della relazione, diventando aggressive, nevrotiche, svilenti, solitarie e svalutanti.
Il trucco è nel come si vivono e si stanno vivendo questi processi, questi cambiamenti. Il fatto che debbano avere luogo lo do per scontato. Ora c’è molta rabbia, paura del cambiamento e della perdita, paura di ritornare indietro e regredire nuovamente…
Rabbia per le ingiustizie subite, rabbia da parte dell’uomo di perdere dei ruoli stabili e ben definiti di forza e potere; nuove definizioni di mascolinità e femminilità ancora non sono state stabilite, sono ancora in costruzione.
Non esistono ancora, soprattutto per l’uomo, modelli di riferimento che non siano difensivi rispetto agli attacchi continui a livello mediatico che lo inquadrano (ingabbiandolo) in definizioni che spesso sono esclusivamente sul versante negativo.
Ma non esistono soprattutto modelli in cui lui può sentirsi sicuro, nuovamente definito in alcune cornici mitizzate, a cui può cercare di somigliare, in cui sentire un’appartenenza limpida e sicura.
Questi nuovi modelli nascono forzatamente già difensivi, come reazione ad un attacco, non in maniera spontanea, ma reattiva. E se si continua a dire che l’uomo è solo colui che aggredisce, umilia e violenta, un prevaricatore insicuro, può darsi anche che l’uomo si identifichi in questi modelli. Ma quali modelli possono ancora esistere ed essere accettati? Il macho virile no…il narciso che si cura troppo no, poi è vanesio e femminilizzato, guai ad avere le sopracciglia ad ali di gabbiano! Il cavaliere galante che paga il conto al ristorante? No, la donna vuole essere autonoma e alla pari… L’amicone? No, perde di fascino e mistero sensuale… Il colto superiore e distaccato? No, guai a perdere di virilità…
Molte donne, bisogna ammetterlo, sono loro stesse confuse sull’idea di uomo che vogliono incontrare, su chi possono tollerare, sui modelli di uomo che razionalmente non possono permettersi di avere accanto ma che ancora sono parte di un retaggio culturale in cui siamo immersi.
Dovremmo guardare quegli uomini che si sono adattati in maniera fluida e non risentendo dei cambiamenti pretesi e voluti a giusto diritto dalla donna.
Quegli uomini che non hanno problemi a sentirsi magari alle dipendenze lavorative di una donna, che prendono volentieri ordini o non si sentono inferiori se la donna prende iniziativa a letto, o se guadagna più di lui.
Serve tanto equilibrio, buon senso e intelligenza ma soprattutto non serve tutta questa paura.
Paura di cosa?
La paura di perdere la propria identità, il proprio potere d’azione.
Spesso l’uomo oggi vive una frustrazione, dovuta al non sentirsi sufficientemente rappresentato e tutelato. Molti commenti ai blog, ai video sui femminicidi, li ho studiati con attenzione, spesso sono di uomini arrabbiati, che pensano che le donne stiano procedendo in maniera quasi compulsiva verso una sorta di vittimismo di massa che non ha nulla a che fare con la realtà, e nulla a che fare con il sostegno lecito e doveroso verso una donna ferita, violentata e uccisa poiché vanno oltre, attaccano per non essere attaccate. Perpetrando il ciclo della violenza.
Mentre la violenza psicologica che loro subiscono dalle donne – così affermano – è a volte pari se non molta di più, poiché da sempre devono subire il “porgi l’altra guancia” letteralmente se una donna dà loro uno schiaffo, devono subire la disparità di trattamento durante separazioni e divorzi, affidamenti che nel 90 % dei casi vanno alle madri, hanno alimenti da pagare, sensi di colpa inflitti in modo subdolo, senso di pressione a diventare genitori quando si è in coppia, fatti entrare in modo sottile grazie al senso di responsabilità e del dovere (con me ha messo la testa a posto!) e molto altro ancora.
Alcune donne sono abilissime con le sottili violenze psicologiche, ancora perchè purtroppo attaccate fermamente all’idea che ci si realizza solo se si procrea, la spinta in tal senso, a livello culturale, è ancora molto forte e riporta inevitabilmente alla gestione dei ruoli fatta in modo tradizionale, in cui la donna alla fine, deve occuparsi del nucleo famigliare e dei figli. Alcune donne ancora oggi sentono infatti che è l’uomo a doverle mantenere e garantire loro un certo stile di vita. Molte non lo ammetterebbero mai apertamente, ma a me piace andare in profondità, senza ipocrisie di fondo.
Per concludere, anche se molto ancora ci sarebbe da dire, viviamo in una fase di cambiamenti necessari e inevitabili, ciò che osservo sono le conseguenti e ovvie crisi che tutto ciò va a creare nelle relazioni, in particolar modo quelle di coppia, in cui nel dubbio, si sceglie di stare da soli ad osservare, ad una cauta distanza, ciò che avviene, nell’attesa di momenti migliori, o della persona con cui poter esprimere liberamente ciò che si è.
Nella speranza di capire e avere chiarezza di ciò che davvero si è e di ciò si desidera, poiché credetemi, molti e molte ancora non l’hanno capito.
Dottoressa Federica Giromella
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